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Nella splendida cornice della biblioteca Vallicelliana e del palazzo borrominiano che la racchiude, la prof. Jacqueline Spaccini ha presentato e introdotto il suo ultimo saggio su Cesare Pavese edito da Aracne,vincitore del Premio Speciale del 2010, intitolato allo scrittore piemontese. Insieme alla professoressa, erano presenti la poetessa Dale Zaccaria, che ha deliziato i presenti con le letture di alcune poesie di Pavese e la direttrice della biblioteca vallicelliana, Maria Concetta Petrollo. Dopo le prime note autobiografiche della prof. Spaccini, nata in Francia, ma vissuta in Italia per molti anni e al momento insegnante di italiano all'università di Caen, in Normandia, inevitabile è stato il confronto tra l'autrice e Cesare Pavese, ma soprattutto l'accostamento ad Anguilla, personaggio principale de "La luna e i falò": il sentimento di sradicamento di Anguilla, è divenuto magicamente, lo stesso senso di smarrimento dell'autrice, in erranza attraverso l'Europa, alla ricerca di un posto dove porre le proprie radici.Ma esattamente come il protagonista pavesiano, la Spaccini, comprende che è nell' "altrove" il proprio spazio, in quella strada che la conduce a Pavese e che in qualche modo, non la fa ritrovare. Dunque un' escalation di sentimenti e sensazioni, tra le parole morbidamente lette dalla poetessa Dale Zaccaria, dal ricordo del compleanno di Pavese, che a tratti sembra presente con la sua pipa e gli occhiali, alle osservazioni giustamente poste dalla dottoressa Petrollo: come sarebbe la fortuna di Pavese oggi, nella nostra era mediatica, bombardata dal business televisivo e informatico? Di certo, l'autore piemontese ha subìto un processo di riabilitazione e al momento, seppure soffra ahimè una certa superficialità dei programmi scolastici del passato e odierni, è un autore amato e in cui si rispecchiano in tanti, soprattutto nell'età più matura, quando si lascia l'idealismo adolescenziale per lasciar posto ad un dolce e poetico abbandono. E allo stato attuale, nell'epoca della solitudine e della ricerca spasmodica di un luogo che sia "tutto il mondo", come non sentirsi vicini a Pavese, un po' contraddittorio ma sempre e perennemente alla ricerca di se stesso, dell'amore, del consumare la vita? Grazie al saggio della Spaccini, oltretutto, chiunque può avvicinarsi allo scrittore piemontese, poiché, come giustamente ha sottolineato la dottoressa Petrollo, i toni del libro appaiono confidenziali e colloquiali, pensati non solo per gli studiosi, ma anche per chi non ha dimestichezza con la letteratura. Il motivo di tale familiarità con Pavese, proviene senza dubbio dal piacere e dall'identificazione che l'autrice ha con lo scrittore di Santo Stefano Belbo. Immedesimazione che è avvenuta per caso, come afferma la stessa Jacqueline, quando anni or sono, le fu commissionata una recensione su un saggio appunto riguardante Cesare Pavese: dopo un primo diniego, la curiosità per qualcosa che nel periodo scolastico aveva fortemente svalutato, prese il sopravvento. Inutile dire che, dopo l'avvenuta recensione al testo proposto, nacque nell'autrice, non solo l'interesse per Pavese, ma anche un profondo iter personale e professionale verso lo scrittore delle Langhe, un cammino "a volo d'uccello", dalla memoria perduta o ritrovata, alle poesie ripudiate e del Disamore, che il letterato-poeta, rinnegò ma conservò gelosamente, quasi in una forma di narcisismo egocentrico. Bensì questo saggio non segna la fine di un percorso analitico, al contrario è l'inizio di un' intenzionale proseguimento ad approfondire gli scrittore definiti "blasonati" del nostro tempo, come Pratolini, Parise o Bontempelli, del quale l'autrice si è già occupata in alcune monografie. A chiudere l'evento, altre letture dalle poesie di Pavese, da parte di Dale Zaccaria, tra cui la famosa e forse troppo emarginata "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", o la bellissima "Ritorno di Deola", alle quali uno scrosciare di applausi ha suggellato l'entusiasmo, ma anche l'introspezione che le parole di Pavese lasciano, inevitabilmente, in chi le ascolta. E dopo Calvino, che molto amò il compianto maestro e cercò di evitare che l'oblio lo inghiottisse, dopo la sua morte, ci siamo sentiti tutti un po' parte del suo amaro successo, finito nella distruzione e purtroppo, nel suicidio. Un successo che silenziosamente, grazie in special modo all'autrice del saggio, abbiamo cercato di ripercorrere, ma come avrebbe voluto Pavese, "senza fare troppi pettegolezzi".
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